giovedì 23 giugno 2011


Una nuova speculazione a danno dei cerealicoltori siciliani?


Secondo la Confagricoltura siciliana esistono tutti i presupposti perchè ciò possa avvenire.

L’innalzamento delle quotazioni mondiali ed il forte interesse da parte degli operatori della filiera commerciale ad acquisire il grano duro della campagna appena iniziata, secondo il presidente dell’organizzazione, Gerardo Diana sono due indizi che fanno una prova.

“Quello che più ci mortifica – aggiunge Diana – è che già nei giorni scorsi le quotazioni, dappertutto in netto rialzo rispetto all’annata precedente, in Sicilia si muovono con scostamenti percentuali di gran lunga inferiori”. Il riferimento è in particolare alla Puglia, la regione che insieme alla nostra isola vanta la maggior superficie coltivata a grano duro, in cui i prezzi di vendita sono mediamente più alti di circa il 10%.

Ma non è solo l’andamento anomalo dei prezzi che preoccupa l’organizzazione degli imprenditori agricoli. L’altro fronte caldo è quello della mancanza di un ruolo di intermediazione da parte dell’Amministrazione regionale, attraverso i propri enti collegati. Oltre ad una funzione di arbitrato, a titolo assolutamente gratuito, questi organismi dovrebbero individuare, una volta per tutte e con assoluta chiarezza, le varietà che più si adattano alle richieste dalle industrie di trasformazione operanti in Sicilia.

“Solo così – evidenzia il presidente Diana – potranno essere gettate le basi per la costruzione di un chiaro, vero e duraturo accordo di filiera del grano duro siciliano che al di là dei singoli spot veda finalmente remare nella stessa direzione e con uguali interessi costitutori, sementieri,produttori ed utilizzatori finali”.

Per tale ragione, secondo Confagricoltura, è utile guardare con attenzione l’andamento dei principali mercati di riferimento prima di cedere il proprio prodotto, e non farsi prendere dalla frenesia del momento.

Si esce da un triennio assolutamente devastante per il settore e questa favorevole occasione congiunturale non deve creare valore aggiunto solo per una parte della filiera a scapito dei produttori che, al di là di ogni logica imprenditoriale, hanno continuato ad investire esponendosi nei confronti del sistema bancario e previdenziale.

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